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Twitter, la sua realtà e la politica: come parlare di ciò di cui parliamo?

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Twitter e politica: in Italia cinguettiamo da poco, ma la mania sta invadendo rapidamente istituzioni, redazioni, case. E sta cambiando il nostro modo di comunicare. Per capire come, quanto e perché ne abbiamo convocato un “Caffè con…” d’eccezione, non uno ma quattro ospiti, tutti twitstar: Roberto Rao o @robertorao, deputato Udc e portavoce di Pierferdinando Casini, Roberta Maggio alias @ubimaggio, regina degli hashtag, Stefano Menichini, ovvero @smenichini, direttore del quotidiano Europa e Andrea Di Sorte (@andreadisorte), coordinatore nazionale dei Club della Libertà. In una diretta Twitter mai così vivace, come testimoniano le decine di messaggi al nostro hashtag #caffecon e le teste chine sugli smartphone dei presenti, tutti attivissimi sul social network, Massimo Micucci ha introdotto l’ormai rituale appuntamento mattutino organizzato da Reti e Running.

“Con la rete ho provato a uscire dal cono d’ombra in cui normalmente vive chi fa il portavoce. Ho trovato il modo di comunicare me stesso”, racconta Rao, che ci rivela come se ne sia poi innamorato anche il leader Udc: “Casini ormai gestisce l’account dal suo iphone, e si vede. Twitter è una grande opportunità: dà la possibilità ai politici di uscire dal palazzo, li costringe a entrare in contatto col mondo e rispondere alla gente anche a mezzanotte, anche se la platea è ancora molto elitaria”.  L’interazione, dunque, e non una fredda comunicazione dei propri impegni è l’atteggiamento giusto per un politico sulla rete: non si può, ribadisce Rao, abbandonare tutto per venti giorni e poi dire che domani si va in tv, pena il defollow di massa. Un altro vantaggio dei cinguetti? La mattina ci trovi la rassegna stampa fatta dagli utenti più attivi, anche se attenzione, non bisogna smettere di leggere i giornali o si rischia di diventare “parassiti”.

La parola a @ubimaggio, che attacca con la sua specialità: “Gli hashtag su Twitter ci danno la linea, ed è secondo me un segnale importante che ci sia, ogni giorno, almeno un tema politico”. E poi sì, belli quelli brillanti e divertenti, ma diciamoci la verità, l’hashtag è come la canzone popolare: buca quello che intercetta il sentimento comune, non necessariamente il più creativo. Una riflessione sui numeri: negli ultimi tempi l’Italia si è accorta di Twitter, e con la crisi politica e l’arrivo dei vip è diventato più pop. Inutile storcere il naso: “Sono più apocalittica che integrata, non credo che Twitter sostituisca Facebook così come non credo che l’arrivo in massa di nuovi utenti sia necessariamente un male”. Il vantaggio indubbio del social network è, comunque, la trasparenza: su Twitter si vede subito se scrive il politico o il suo staff.

“Twitter sta diventando un flusso essenziale da seguire nell’arco della giornata”, attacca Stefano Menichini, che però puntualizza: una lettura critica del mezzo dimostra che l‘hardware è ancora quello tradizionale, cioè spesso si appoggia su agenzie di stampa e tv all news. Qual è allora il vantaggio? “L’informazione arricchita da commento diventa subito flusso d’opinione”, dice il direttore di Europa. E come si pone un giornalista riguardo al cinguettio? Conta molto la credibilità professionale acquisita e l’esposizione personale. “La novità è che ci sono giornalisti che decidono quali temi del quotidiano devono finire sulla rete e come seguirli durante il loro sviluppo”. E per quanto riguarda la politica? Un esempio del rapporto innovativo che ha con Twitter è l’elezione del sindaco di Milano con il “vento” che ha sospinto Pisapia, ma attenzione che la mobilitazione reale nel paese non può essere supplita da quella su Twitter, come dimostra il flop di #occupyscampia.

Andrea Di Sorte lo ammette subito: il Pdl è in netto ritardo, rispetto ad altri partiti, sulla presenza nei social netowrk: colpa di una cifra originaria, risalente alla discesa in campo di Berlusconi, che li porta a privilegiare tv e giornali. “Twitter lo usiamo come termometro e strumento di comunicazione”, spiega, elencando quali sono invece, per lui, i vantaggi del mezzo: innanzitutto il contatto diretto con il politico, che qui è costretto a risponderti, mentre magari la mail della Camera non la legge nemmeno. “Su Twitter è nato per gioco “formattiamo il Pdl” che ha creato un certo movimento all’interno del partito”.

Numerosi e appassionati gli interventi dei presenti, per lo più comunicatori nei partiti, nelle aziende e nelle istituzioni. Si invita a riflettere sul fatto che “la gente usa ancora Google e Facebook per informarsi, per cui nel parlare di Twitter bisognerebbe tener presenti i numeri reali”. E il media editor Idv ci rivela che “capita che Di Pietro twitta direttamente e ci smonti la linea che avevamo impostato noi dello staff”. Altri leader, invece, non sono online e tutto sommato non è un male: Berlusconi e Fini appartengono ad altre generazioni, su Twitter non ci stanno bene. “Tra l’altro preferisco che i politici siano impegnati  a governare”, osserva Menichini, mentre Rao sottolinea che la presenza social non è tutto, ma una gamba del tavolo importante, che può essere utile come “spot” per un programma elettorale. Le potenzialità, insomma, sono tante: grazie alle sentinelle della rete è stato preparato un emendamento che ha bloccato il cosiddetto SOPA italiano. “Attenzione, non abbiamo ancora visto come si comporta la politica con Twitter in campagna elettorale”, avvisa Roberta Maggio. E Menichini rimarca: “Ci rendiamo conto che Twitter è solo una conversazione, con gli stessi rischi di degenerare e creare polemiche?” Poi avvisa ancora: “La rappresentazione della realtà che i giornali prendono da internet diventa una realtà a sua volta, è come per la tv”.


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